di Nicole T.
Introspezione e ricerca di sé stessi, sono questi i consigli che ci vengono forniti dalle opere della Scuola di Londra, anche se veramente scuola non è. Oltre dagli universalmente noti Francis Bacon e Lucian Freud, la Scuola di Londra include altri artisti che furono sì in contatto, ma che ebbero temperamento indubbiamente diverso: Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego. Tutti, o quasi, sono accomunati dal fatto di aver raccontato la società occidentale della seconda metà del XX secolo, mostrandone le contraddizioni e le ossessioni tra intimismo e vita urbana.
La sua eterogeneità di correnti di pensiero e di tecniche pittoriche fa in modo che tutti siano influenzati da tutti ma senza perdere la propria identità. Questo è il concetto fondamentale, l’identità. Ma perché è così importante?
Tutti gli artisti esposti al “Chiostro del Bramante” di Roma ne parlano, ovviamente con modi diversi. Tutti parlano di una società ormai caduta in rovina con un’espressività che lascia nell’osservatore un senso di inquietudine ma anche spunti riflessivi. La crudezza delle pennellate, la scelta cromatica, i tratti veloci del carboncino sulla carta quasi grigiastra, tutte tecniche volte a comunicare sconforto e non appartenenza alla società moderna, si riversano nel motto scelto dalla mostra, ovvero #nofilter. Slogan ma più azzeccato, in una realtà dove ognuno prova a nascondersi dietro finte apparenze e a rinnegare, quando serve, i propri valori, ecco qui che si ergono, nel dopoguerra, pittori che esprimono i loro difetti e i difetti di una società che fatica a riprendersi, senza stare dietro a inutili ghirigori per addolcire la pillola. Ed è questo l’invito che ci fanno. In un mondo dove l’alienazione è all’ordine del giorno, l’unica cosa che conta è tenersi stretta la propria l’identità.
La mostra si apre con un ritratto, “Girl with a kitten”, realizzato da Lucian Freud, nipote dello psicoanalista Sigmund Freud. Il cognome sembra quasi una garanzia, infatti entrambi hanno sviluppato uno spiccato interesse per la psicoanalisi. Parlando di Lucian Freud, ogni suo lavoro è costituito principalmente da due livelli, che vanno entrambi esaminati per comprenderne a pieno il significato. Un primo sguardo ci trasmetterebbe solo una profonda confusione a volte contradditoria, ma integrandola con una più attenta analisi di tipo psicologico si può arrivare a capirne l’essenza.
A primo impatto ci troviamo di fronte una ragazza che tiene il suo gattino in braccio, ma come se fosse distratta da qualcosa, si dimentica di averlo tra le braccia e lo stritola quasi avesse un mazzo di fiori in mano. Ma cosa la attrae? È la società in cui vive, una società che porta le ferite della guerra appena conclusa. Morte, distruzione, perdita di sé stessi è questo quello che osserva la ragazza, la quale non si riconosce più nel mondo in cui vive.
L’unico punto di contatto tra lo spettatore e il quadro è il gatto, che ci squadra quasi con superiorità. Il suo sguardo freddo ci lascia col sospetto che i responsabili di ciò che è accaduto siamo anche noi. Tutte le scelte prese per arrivare al punto di rottura, di non ritorno, sono state accreditate da tutti. Neanche fosse un giudice, mette ognuno di noi di fronte all’evidenza dei nostri errori, spegnendo in noi le uniche certezze che avevamo. La lanterna che si spegne porta via tutti i nostri punti fermi e ci getta nel buio più totale, ed è qui che si comincia a dubitare di tutti e tutto.
“Quello che voglio fare è distorcere la cosa ben oltre l’apparenza ma, nella distorsione, restituirla come un documento dell’apparenza”. Da questa massima si comprende tutta l’essenza della pittura di Francis Bacon, il quale costruisce spazi che non sono reali ma immaginati, inserendovi figure mutevoli colte in tragiche allucinazioni, spasmi che conducono all’urlo di liberazione o di sconfitta, la stessa materia di cui sono fatti gli incubi. Per fare ciò egli parte non da un modello, ma una realtà già selezionata come fotografie o arti del passato. Nel suo olio su tela intitolato “Study for a Portrait II (After the Life Mask of William Blake)”, emerge tutta la voglia di comunicare in modo diretto del pittore, con radicale brutalità, e a lasciare andare il suo istinto per cogliere le tensioni e le paure dell’uomo. In questo caso il soggetto rappresentato è William Blake, pittore e poeta, ossessionato tanto dalla morte a tal punto che fece realizzare delle sue maschere funerarie con largo anticipo per essere sicuro della loro veridicità.
Viene scelto come soggetto per innumerevoli studi su tela per questa sua peculiarità, ovvero l’ossessione per la morte, argomento molto a cuore di Bacon. Il volto di Blake si trova sospeso in uno sfondo completamente nero, anonimo, il quale fa risaltare la scelta cromatica e le forme distorte del viso. Gli occhi chiusi, la pelle pallida, le labbra rivolte estremamente verso il basso, il viso allungato e contorto poggia su un sottilissimo collo che si sta piano piano dissolvendo. Insomma ci troviamo di fronte alla raffigurazione della perdita di noi stessi e quindi la morte, se non fosse per quella piccola macchia sulla fronte di un rosa sgargiante che potrebbe accendere una flebile speranza, oppure lasciarci con l’amaro in bocca di una sconfitta che non siamo riusciti ad evitare. In quest’ultimo ci troveremmo ad osservare la nostra futile speranza venire risucchiata dalle nostre fragilità, dall’umiliazione, dalla morte.
In parallelo viene sviluppato il tema dell’illusione da altri pittori, meno noti, della scuola di Londra, Michael Andrews e Paula Rego. Entambi, grazie all’uso del colore, realizzano scene che a primo impatto appaiono gioiose e lontane dai problemi della società avanzati dai colleghi. Il colore è solo una mera illusione perché cela il vero intento dell’artista.
Nel quadro “Melanie and me swimming” di Michael Andrews, il colore e la scena ricca di dolcezza affettiva del padre, MIcheal, verso la figlia nasconde delle forti problematiche. Il pittore, nell’opera, sorregge la figlia che ha appena imparato a nuotare, ma cogliendo i dettagli ci possiamo accorgere dell’anomalia presente nell’acqua. È nera, e per di più sta sciogliendo i contorni dei personaggi. Qui nascono le paure, i timori di Micheal, il quale dovrà lasciare andare sua figlia per il mare, ovvero in un mondo pieno di contraddizioni e soprattutto vuoto di ogni valore.
Per concludere l’unica donna della scuola di Londra, Paula Rego decide di inserire nelle sue opere una sottile distorsione della felicità legandolo al ruolo non pienamente definito della donna. Il quadro “The dance” è uno degli esempi che esprime meglio questa distorsione. nel dipinto ci sono contadini che ballano insieme, ma non c’è gioia sui loro volti, la casa sulla collina dietro di loro sembra molto presenza inquietante, c’è un pesante silenzio.
Le donne nel dipinto rappresentano stereotipi del ruolo della donna. Ponendo attenzione alla donna a sinistra potrebbe essere la rappresentazione dell’artista stessa, in quanto le sue dimensioni sono maggiori rispetto alle altre.
Fine della visita, esco dal museo, la luce è cambiata, qualcosa in me, seppur sottile, è cambiato e anche il cartomante seduto all’angolo della strada ora ha un senso.
Sarà forse la sindrome di Stendhal?