NATALE A GAZA
Nei giorni successivi al Natale, Internet e social media hanno diffuso massicciamente il sermone del rev. dr. Isaac Munther, un lungo discorso pronunciato ai Palestinesi, ma volto soprattutto alla coscienza di ognuno di noi.
Durante la messa di Natale, nella chiesa evangelica luterana di Belemme, il reverendo Munther si rivolge ai numerosi palestinesi di religione cristiana: rievoca notizie recenti, notizie di omicidi, centinaia di bambini morti dall’inizio della guerra, interi quartieri tormentati dai bombardamenti e poi distrutti.
L’omelia del reverendo è un discorso molto duro, un’aspra accusa al mondo occidentale. Già nei primi minuti viene trattato un argomento significativo, che riguarda tutti, indistintamente: si tratta del silenzio. Il silenzio colpevole dei paesi occidentali che tormenta i palestinesi, quasi una indifferenza da parte del mondo rispetto ai massacri che ancora in questo momento si stanno compiendo. Quello del reverendo è un discorso politico, un appello al resto del mondo, definito complice di quello che sta accadendo a Gaza, un mondo che si nutre di immagini e video dell’esecuzione di un popolo e finge interesse, ma allo stesso tempo ci passa sopra, come se fosse un problema che può essere rimandato.
Proseguendo il suo sermone, il pastore è ancora più duro. Associa termini come “ipocrisia” e “razzismo” al mondo occidentale, il quale, sostiene il pastore, vede con sospetto la parola “palestinese” e ritiene “autodifesa” il compimento di omicidi e sfollamenti perpetrati da giorni dagli israeliani.
Più avanti non parla più del mondo occidentale, ma nello specifico della Chiesa occidentale: l’indifferenza con la quale vengono trattati i palestinesi, le promesse vane, nessun gesto concreto, le superficiali parole di empatia senza azioni, i vuoti appelli alla pace: tutto ciò, spiega il reverendo, ha contribuito all’indignazione di questo popolo. Un popolo che sta morendo sotto il peso di questa guerra, che si sta ritrovando solo in tutto il mondo, abbandonato a se stesso. Poi prosegue e rammenta il gran numero di persone e di bambini uccisi e massacrati che danno prova di ciò che è avvenuto. Numeri spaventosi. Numeri che si andranno solamente ad ingrandire senza nessun gesto concreto.
Il messaggio di Munther è un messaggio rivolto principalmente alle Chiese, però si rivolge dando del “tu” a coloro che ascoltano le sue parole: ci si sente presi in causa da subito.
Il pastore afferma che se non siamo scossi da quello che sta succedendo a Gaza, se non siamo indignati riguardo al fatto che gesti violenti e omicidi vengano giustificati per mezzo della Bibbia, allora abbiamo un “problema con la nostra personale umanità”.
E ancora, prosegue il predicatore, le parole di rammarico e dispiacere che saranno proferite alla fine di questa guerra saranno false, inutili, non credibili. Saranno parole di persone che hanno chiuso non uno, ma ben due occhi, e che quando li avranno riaperti ormai la storia sarà già stata fatta e compiuta.
L’appello finale di Isaac Munther è intransigente, deciso e drastico: “Questo genocidio deve finire”. Un richiamo che, se pensiamo che proprio in questa terra è nato Gesù, risuona ancora più tormentato e angosciato.
Annamaria B. 3A