I SOCIAL MEDIA E L’IMPATTO SULLA SOGLIA DELL’ATTENZIONE
Otto secondi: è la durata media della nostra attenzione, registrata in una ricerca di Microsoft Canada. Ecco, gli otto secondi (meno di un pesce rosso) della Microsoft sono probabilmente una provocazione, ma anche i dati emersi da ricerche più attendibili non si allontanano molto da questo risultato; in un mondo iperconnesso e che dunque gode di tutti i vantaggi che la rivoluzione tecnologica comporta, gli “effetti collaterali” non mancano, anzi sono numerosi. Primo fra tutti, spicca il drastico abbassamento della soglia dell’attenzione, dovuto al rapporto di dipendenza che si instaura con l’oggetto più utilizzato dalla nostra generazione: lo smartphone. Azioni come sbloccare il telefono, scrollare i social e ricevere notifiche generano scariche di dopamina a cui il cervello con il tempo rischia di assuefarsi e di cui, di conseguenza, diventiamo dipendenti. Ragion per cui, anche quando non ne abbiamo realmente la necessità, ci scopriamo ad avere il cellulare tra le mani, a tenerlo d’occhio continuamente per non perderci l’eventuale arrivo di messaggi e, come per un riflesso incontrollato, a guardare storie Instagram e mettere like senza neanche rendercene conto. I social come Instagram, Facebook o Tik Tok, infatti, sfruttano gli stessi circuiti neurali usati dalle droghe o dalle slot machine per indurci a stare più tempo possibile sulle loro bacheche: come illustra un recente documentario Netflix “The Social Dilemma”, i social media hanno, in effetti, un’architettura appositamente studiata per tenerci connessi e farci tornare spesso, con algoritmi progettati per risultare irresistibili. Tuttavia, la trappola scatta in funzione della nostra natura, poiché, in un certo senso, siamo biologicamente programmati per essere distratti da una notifica (i suoni improvvisi sono infatti interpretati dal nostro cervello come un campanello d’allarme) e, quando non c’è nulla a interromperci, tendiamo a farlo in autonomia.
È uno studio di Gloria Mark, professoressa dell’Università della California, a dimostrarlo: la Mark, dopo le ricerche di Microsoft e di Google, ha seguito le persone in ufficio, il luogo in cui l’attenzione sarebbe, per così dire, dovuta. Qui, dal cronometraggio del tempo massimo di concentrazione ha ricavato il risultato di 40 secondi. Un risultato disarmante, se si pensa che 10 anni fa, quando nacque lo smartphone, la soglia dell’attenzione media era di 3 minuti.
“Abbiamo dimostrato che mentre le persone sono al lavoro e stanno facendo qualcosa di importante improvvisamente si fermano, prendono in mano il telefono, e si mettono a chattare o a controllare i social. Non possono più farne a meno.” così Gloria Mark nel suo libro: una conclusione impietosa, ma probabilmente suffragata dall’esperienza quotidiana di molti di noi (solo nel tempo necessario per scrivere questo articolo mi sono fermata a controllare il cellulare almeno 15 volte).
Non si tratta solo dei pochi minuti di distrazione in cui passiamo, per esempio, dal computer al telefono, ma del tempo necessario per riprendere la concentrazione: circa 25 minuti secondo Lisa Iotti, una giornalista che in un suo libro, intitolato proprio “8 secondi”, tratta dei problemi dell’iperconnessione e della dipendenza da smartphone.
Il telefono e i social media sono il nostro doudou, l’oggetto (che sia un peluche o una copertina) che calma i neonati e li aiuta a dormire, come spiega lo psichiatra Laurent Karila nelle prime pagine di questo reportage giornalistico. Per questo motivo, quando ci si sveglia durante la notte, il 37% degli italiani istintivamente prende il cellulare, guarda l’ora, magari controlla la schermata home di un social e poi torna a dormire.
La realtà, che ormai è sempre più digitale, cerca dunque di adattarsi alla piega che la nostra vita sta prendendo: le piattaforme multimediali ci somministrano contenuti sempre più brevi, perché chi ne usufruisce fatica a rimanere attento per periodi più lunghi (ecco spiegato, per esempio, il recente inserimento di contenuti simili ai “reels” anche su Netflix), tutto diventa più breve, più immediato e, inevitabilmente, ci abituiamo all’impazienza, a volere tutto subito, senza renderci conto dell’impatto che il passaggio così veloce da un contenuto all’altro ha sulla sindrome da affaticamento e dello stress che ne deriva.
Ma Internet e gli smartphone resteranno e si evolveranno (le esortazioni di alcuni filosofi a rinunciare a quelli che in realtà sono traguardi tecnologici sono utopiche e irrealistiche), per cui sarebbe bene assumere abitudini migliori su questo fronte, ma soprattutto sarebbe auspicabile che i colossi del digitale agissero e si impegnassero nell’ideare social media più compatibili con uno stile di vita sano.
Beatrice Teresa, 4B