Qualche consiglio per voi!
Ciao a tutti volterriani!
Le vacanze estive si avvicinano e finalmente avremo del tempo da dedicare tutto per noi, senza doverci preoccupare di imminenti compiti in classe, interrogazioni o scadenze da rispettare. Certamente noi ragazzi delle classi quinte avremo forse un unico pensiero per tutto il mese a venire, ma, superato l’ultimo ostacolo da liceali, spetteranno anche a noi settimane di beata nullafacenza.
Se c’è una cosa della quale i mesi scolastici mi hanno privato in questi cinque anni è forse il tempo per leggere. Conciliare impegni didattici e privati non sempre è stato semplice, anzi, talvolta estenuante, perciò le ore che avrei potuto passare a sfogliare i miei romanzi preferiti le ho trascorse dividendole tra studio “matto e disperatissimo”, attività extrascolastiche e di alternanza e, naturalmente, faccende personali.
In ogni nove giugno che si rispetti, generalmente uso trascorrere la mia mattinata nella solenne Feltrinelli di Largo Argentina, andando su e giù tra i suoi piani e, per finire, iniziando a leggere nella caffetteria interna le prime pagine dei miei nuovi acquisti. La sfida di leggere il più possibile d’estate per compensare le mancanze dei mesi precedenti (e di quelli successivi) è sempre stata una costante per me come forse lo è per parte di voi. Per tale motivo, in quest’ultimo numero di ElettronVolt2.0 dell’anno 2021-22, mi sento di consigliare a voi volterriani alcuni romanzi che ho letto e che mi hanno appassionato, non troppo lunghi né troppo pesanti, che spero possano allietare la vostra estate allo stesso modo in cui hanno deliziato il mio tempo libero.
Il primo romanzo che mi sento di consigliare è senza dubbio “La lunga strada di sabbia” di Pier Paolo Pasolini. In occasione del centenario della sua nascita, credo possa essere utile per tutti seguire il percorso che, in questo caso il “romanziere” (che però fu anche poeta, regista, drammaturgo, pittore…), svolse nel 1959 a bordo di una Fiat Millecento lungo tutta la costa italiana. Ho letto questo libro per puro caso: lo vidi nella biblioteca del mio prozio in uno scaffale di libri gialli, decisamente fuori posto, e pensai di sistemarlo, naturalmente dopo aver sbirciato la trama in prima pagina; una parola mi saltò all’occhio, “Circeo”, e decisi di portarlo a casa, dato che sono molto legata a questa terra. Si tratta di un racconto autobiografico che senz’altro può aiutarci ad immergerci nella transizione della società tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sul nascere del boom economico, ma anche estremamente attuale. Pasolini, da Sanremo a Trieste, passando per la giovane Livorno, per, appunto, il ridente Circeo, per la meridionale Calabria ed ancora per tutta l’Italia adriatica, critica la nascente classe borghese, evidenzia le nette differenze sociali tra le varie porzioni di costa, scrive di innocenti ricordi infantili e proietta nelle nostre menti emozioni ed impressioni provate di fronte a meravigliosi scorci. Leggere queste brevi annotazioni in cui l’autore esprime pura gioia nell’ammirare paesaggi, nell’ascoltare persone da vari luoghi, nell’osservare l’imprevedibilità dei comportamenti umani, è stata per me l’occasione di un grande spunto di riflessione e spero che possa esserlo anche per chi di voi deciderà di percorrere lo stesso mio viaggio sulla Millecento accanto a Pasolini.
“Il corpo umano” è l’ultimo romanzo che ho divorato di Paolo Giordano. Consiglio a voi volterriani questo libro sia perché sono particolarmente “di parte”, sia perché penso possa sollevare pensieri e profonde riflessioni. Per quasi ogni libro ho una storia che in quest’articolo ho deciso di condividere con voi, in questo caso è molto semplice: Giordano è l’autore contemporaneo che preferisco in assoluto e credo sia naturale comprare quasi ossessivamente ogni suo romanzo dopo aver finito il precedente. Ero particolarmente indecisa, in effetti, perché tra “La solitudine dei numeri primi”, “Il nero e l’argento”, “Divorare il cielo” e i saggi pandemici avevo un ampissimo raggio di scelta. “Il corpo umano” è stato pubblicato nel 2012, è ambientato nei primi anni del XXI secolo, ma ancora profondamente attuale.
Si tratta di un romanzo di formazione nel quale l’autore racconta le vicende dei soldati italiani che si trovano a operare in uno degli avamposti più pericolosi in Afghanistan. Gli uomini che possiamo conoscere ed interpretare, il maresciallo, il tenente, i soldati, rappresentano le voci della guerra, voci consapevoli, disperate e attente che vivono la grande prova della vita. Giordano scrive di giornate noiose interrotte da quelle infernali, nella lotta contro gli attacchi ma anche contro le scarsissime condizioni igieniche, ma scrive soprattutto di chi lascia affetti lontani, chi frustrato per inappagamento sessuale, chi soffre di conflitti interiori quali l’indecisione di riconoscere un figlio o il rimorso per i famigliari. Descrive le condizioni fisiche e psicologiche dei soldati stessi, svelando conflitti ben diversi dalla guerra armata: familiari, affettivi e quelli sanguinosi e interminabili contro se stessi: “Le fratture peggiori sono quelle che ci si procura da fermi, quando il corpo decide di andare in pezzi e lo fa, in una frazione di secondo si sbriciola in così tante schegge che dopo è impensabile ricomporlo”. Il significato del titolo di questo romanzo può essere molteplice, lascio dunque a chi di voi deciderà di immergersi in questa lettura la ricerca e l’interpretazione soggettiva di esso, sperando possa lasciare un’impronta nelle vostre vite.
Una domenica estiva dello scorso anno cercavo di ammazzare il tempo passeggiando per Trastevere… e che fai, non ci passi per Porta Portese? Quella mattina sono rimasta attirata da un banchetto pieno zeppo di libri e ne ho comprati una decina. L’anziano signore che aveva allestito la bancarella, forse perché dopo molti acquisti o forse semplicemente per pena perché avevo finito gli spicci, decise di regalarmi un libro. Mentre finivo di pagare al suo aiutante (che per la somiglianza mi piace immaginare fosse il nipote) i romanzi che avevo deciso di portare a casa, vidi con la coda dell’occhio l’anziano scrivere qualcosa tra le prime pagine di quel libro che poi mi diede in mano sorridendo. Si tratta de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” di Luis Sepúlveda. Questo romanzo mi ha portato in un mondo così sconosciuto e lontano, la foresta amazzonica, in cui la purezza della natura rimane intatta e con la quale il protagonista, il vecchio Antonio, entra profondamente in contatto. Infatti, sebbene viva in un luogo selvaggio, Antonio ha una grande passione, quella per i romanzi d’amore, grazie ai quali si rifugia lontano dalla realtà, dalla spietatezza dei gringos che non fanno altro che distruggere la natura, che “rovinavano la foresta costruendo il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto”, anche dopo la caccia al tigrillo, un animale in cerca di vendetta poiché privato dei suoi cuccioli. Questo libro mi ha estremamente sorpreso: è una denuncia verso l’azione distruttiva dell’uomo e al tempo stesso un profondo messaggio di speranza. Mi sono innamorata del filo intangibile che lega ogni parola, del romanzo, dell’incredibile forza di volontà caratterizzante il protagonista. A proposito, vi condivido parte della nota che il vecchio proprietario del romanzo scrisse quella mattina tra le prime pagine:
”… Chi lo ha letto mi ha giurato che è il più bel libro di Sepúlveda. Le prime pagine mi han fatto promettere di leggerlo e sono sicuro che questa piccola porta ti trasporterà in un mondo integro in cui il tigrillo già da un pezzo ti ha notato. Torna a raccontarmi come va a finire” Sergio
Quest’anno ho avuto il grande piacere di conoscere un professore del Liceo Mamiani, Giuseppe Stinca, del quale qualche settimana dopo è stato pubblicato un quaderno di poesie e racconti, “La materia oscura del cuore”: è proprio questo l’ultimo libro che ho scelto di consigliarvi. Queste 78 pagine rilegate assieme da “invisibili stringhe di gravità” mi sono state donate con l’intenzione di toccarmi l’anima, ogni particella d’inchiostro m’è penetrata nel cuore e l’ha scosso come una bufera ventosa fa con le cime dei pini. Il libro è diviso in due sezioni, la prima di brevi prose, Fotoni che colpiscono e rivelano la consapevolezza di un uomo infelice per il quale “la felicità cercata è già da sempre persa”, la seconda sezione, le poesie, Gravitoni che nascondono un’incessante “guerra di logoramento tra sogni e disillusioni”.
Leggendo con attenzione l’opera non ho potuto non cogliere alcune ricorrenti immagini intensamente simboliche che rendono umana persino la gravità quantistica: cime nebulose, cieli borbottanti e tempestosi interrotti da brevi e rapidi bagliori di luce che lasciano trapassare la perpetua irrequietezza dell’animo dell’autore, cadenzata da un fulmineo e flebile ottimismo; distese infinite di un nero e profondissimo oceano, un tempo che si dilata e si contrae, un tempo interminabile nel quale siamo solo “solitarie particelle di antimateria”, nel quale vorremmo perdurare a lungo, nella memoria e nel ricordo; stazioni ferroviarie in cui lo stesso tempo si arresta e che manifestano il desiderio di eclissarsi dalla realtà “nel passaggio di due metro”, di essere più che granelli di sabbia e mutare in forze insormontabili, dei gravitoni, in cui la rassegnazione, adesso per più di qualche secondo, diviene il bocciolo di una speranza grazie all’Amore, quell’unica debole forza totalmente umana.
Un’opera autobiografica con la quale il professor Stinca, tra Sorrento e Roma, attraverso chiarissime immagini di scene di vita quotidiana nella quale intervengono particelle elementari invisibili che con una forza immane modellano l’universo, collega vissuto e presente lasciandoci entrare in un universo malinconico in cui vi è una “debolissima forza che sola è in grado di penetrare tutte le dimensioni e superare l’iperspazio del multiverso: l’Amore”. Poche profonde parole separate da spazi immateriali che come un velo di Maya celano l’essenza e l’intera chiave di lettura del cuore dell’autore.
Che dire volterriani, naturalmente ho seguito il mio mero gusto personale ma spero che in qualcuno di voi sia sbocciata la curiosità di esplorare almeno qualcuna delle pagine di cui vi ho parlato, in particolare per l’ultimo libro al quale sono profondamente legata poiché mi ci vedo e rispecchio.
Vi lascio augurandovi delle felicissime e spensierate vacanze (in mezzo ad una montagna di libri) e, naturalmente, un in bocca al lupo a tutti i maturandi!
Alessia Castellani VSD