di Virginia B. (4D – 2019/20)
“Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi”.
Questa frase racchiude l’essenza di una donna, un’ebrea che ha dovuto lottare contro pregiudizi e un mondo vittoriano per una vita intera uscendone però a testa alta. Questa donna è Rita Levi Montalcini. Nata a Torino il 22 aprile del 1909 è stata una tra le più importanti neurologhe, accademiche e senatrici italiane. Per una sua scoperta a proposito dell’accrescimento della fibra nervosa, nel 1986 è stata insignita del premio Nobel per la medicina. E questo non fu l’unico riconoscimento: è stata la prima donna ammessa nella Pontificia accademia delle scienze, nel 2001 è stata nominata senatrice a vita per i suoi meriti in campo scientifico e sociale.
Tuttavia la sua storia è ben altro che rosa e fiori: nata infatti da famiglia ebrea sefardita, dopo essersi laureata con 110 e lode in Medicina e Chirurgia, nel bel mezzo dei suoi studi di specializzazione in neurologia e psichiatria, fu costretta dalle leggi razziali del 1938 a emigrare in Belgio. L’invasione tedesca del 1940 la obbligò alla fuga. Tornò allora in Italia dove fu costretta a rifugiarsi nelle campagne torinesi. Tuttavia non fu la persecuzione razziale a fermarla: lei allestì nella sua stessa camera da letto un laboratorio per portare avanti i suoi studi. Fu in questo laboratorio che giunsero le prime scoperte sul ruolo dei fattori genetici nella differenziazione dei centri nervosi compiute con l’appoggio di Giuseppe Levi. I bombardamenti degli angloamericani però raggiunsero anche Torino nel 1941 e lei si rifugiò nella zona di Valle San Pietro, dove, con determinazione, ricostruì il suo laboratorio, riprendendo i suoi esperimenti. Rita Levi Montalcini superò, insieme alla sua famiglia, l’olocausto nascondendosi sino alla liberazione a Firenze. In seguito alla liberazione fiorentina decise di aiutare divenendo medico presso il Quartier Generale anglo-americano. L’incarico assegnatogli però la segnò profondamente perché non riusciva a mantenere il necessario distacco personale dal dolore dei pazienti.
Terminata la guerra, si riconcentrò su i suoi studi e proprio grazie ad essi nel 1946 il biologo Viktor Hamburger la invitò a St. Louis per continuare le sue ricerche e intorno al 1950 con Elmer Bueker definì l’agente promotore della crescita nervosa. Così quella che sembrava essere una scelta che sarebbe stata destinata ad esaurirsi a breve si rivelò una scelta trentennale, infatti lei rimase negli Stati Uniti fino al 1977 continuando i suoi studi in diversi ambiti. Rimase comunque sempre in contatto con l’Italia assumendo anche diverse cariche come il ruolo di Direttrice del Laboratorio di Biologia cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche, divenne Presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e ambasciatrice per l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura.
Rita Levi Montalcini dovette superare quindi l’odio razziale ingiustificato e disumano che cercò di compromettere non solo i suoi studi e la sua passione ma la sua stessa vita. Contro tutto e tutti, lei dimostrò coraggio e razionalità laddove la ragione era stata completamente persa. Come un titano si è piegata materialmente e fisicamente rinchiudendosi in una stanza dopo essere fuggita per l’Europa ma mai la persecuzione è stata in grado di dominarla spiritualmente, ossia toglierli il piacere della ricerca e del sapere, permettendo alla sua mente ancora libera di scoprire nuovi mondi. In tutti i luoghi è stata capace di far sbocciare la sua passione annaffiando questo fiore che possedeva con le sue stesse mani e con la determinazione. D’altronde le sue scoperte iniziarono proprio nella sua camera mentre nel mondo esterno stava scoppiando la guerra.
Tuttavia questo non fu l’unico scoglio che dovette scalare, lei stessa affermò: “sono cresciuta in un mondo vittoriano, nel quale dominava la figura maschile e la donna aveva poche possibilità”. Fu proprio in questo mondo però che lei voleva affermare le uguali possibilità mentali degli uomini e delle donne. Così negli anni settanta divenne parte del Movimento di Liberazione Femminile affermando il diritto al libero pensiero attribuendo questo pensiero all’eredità del padre: “Da bambine mio padre ripeteva a mia sorella e a me che dovevamo essere libere pensatrici. E noi siamo diventate libere pensatrici prima ancora di sapere cosa volesse dire pensare”. Il desiderio di libertà, di poter affermare le proprie posizioni senza che esse fossero denigrate e non considerate solo perché provenienti da menti femminili era per lei quasi una ragione di vita e sicuramente uno degli ideali fondamentali ed imprescindibili che l’hanno accompagnata per tutta la vita. Il diritto ( e forse il dovere) di ragionare e di pensare non doveva essere sottoposto a limiti per questo istituì la Fondazione Rita Levi Montalcini rivolta alla formazione dei giovani e in particolare delle studentesse africane. E’ per insegnare a pensare e ad usare la propria ragione che ha lavorato a contatto con i giovani attraverso il CNR ed è stato in queste circostanze che ha affermato come si possa avere profonda fiducia nei giovani di oggi che possono usufruire di una tale ampiezza di informazioni, tuttavia allo stesso tempo dichiarò come gli schermi e le tecnologie odierne possano completamente distoglierli dalle loro possibilità, creando per loro una realtà che inibisce le loro stesse potenzialità di poter “inventare il mondo” e “distruggere il fascino dell’ignoto” semplicemente prendendovi parte.
Quella di Rita Levi Montalcini è una ribellione e una sfida alla società novecentesca che opprimeva le donne e le differenze affermando la superiorità del genere maschile su quello femminile, e dell’europeo sull’uomo di colore. La neurologa non si è mai fermata né contro il governo mussoliniano né nei confronti dei pregiudizi, pur sapendo che sradicare queste ideologie dagli animi altrui sarebbe stata un’impresa a dir poco ardua. Non a caso ha sempre rifiutato di sposarsi e ha dedicato la sua vita alla scienza e alla ricerca per dimostrare l’uguaglianza tra i generi e la necessità del libero pensiero.
Affermare che Rita Levi Montalcini sia stata un titano significa riconoscere gli ideali in cui lei per prima ha creduto andando contro governi e persone razziste e maschiliste con la sua tenacia e la sua determinazione. Il suo essere titano è il suo essere stata una donna che ha saputo affermarsi e realizzarsi, l’essere una libera pensatrice che non ha ceduto neanche alla natura che stava per tagliare il filo della sua vita:
“Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”
“Quando muore il corpo, sopravvive quello che hai fatto”
Ad oggi possiamo dire che questo è vero: Rita Levi Montalcini è deceduta il 30 dicembre 2012 all’età di 103 anni ma il suo titanismo ce lo ha lasciato in eredità insegnandoci quanto battersi per i nostri diritti e per la nostra libertà sia fondamentale e parte integrante del nostro vivere e del nostro essere umani.